Regia di Karen Arthur
Recensione di Erica Arosio
In quanti modi un maniaco può perseguitare una donna? Quali sono le fantasie che si incrociano in un rapporto maniacale? E il mondo fantasmatico dell’erotismo femminile come può essere rappresentato? Che complicità può esistere fra la vittima e il carnefice? Come è possibile spezzare l’angoscia e ribellarsi?
Il cinema tante volte ha affrontato il tema dei maniaci sessuali, da sempre grandi protagonisti della fantasia popolare, a cominciare dalla leggenda di Jack lo squartatore. Sono storie di sesso e di sangue, quindi perfette per essere messe in scena. Quasi sempre con occhi maschili e anche se a raccontarle sono maestri come Alfred Hitchcock (Frenzy) Brian De Palma (Omicidio a luci rosse) o Stanley Kubrick (Arancia meccanica), l’eroe, seppur negativo, è sempre lui, il maniaco, l’assassino. In questo film invece la regista è riuscita a ribaltare la situazione: protagonista del suo film è lei, la vittima, che si mette in primo piano, prende in mano la situazione e la gestisce.
L’altro, il maniaco, il voyer, fa una ben misera figura ed esce dalla storia completamente spogliato da quel fascino che i cattivi sullo schermo riescono sempre ad avere. Il fatto poi che per interpretare il personaggio del persecutore Karen Arthur abbia scelto un bellone del piccolo schermo, Michael Woods, uno dei protagonisti del Serial Sentieri, contribuisce a rendere più efficace tutta la vicende, ispirata fra l’altro ad un fatto realmente accaduto, quello di una ragazza americana, che perseguitata da un maniaco riesce a liberarsene ribaltando la situazione e usando le sue stesse armi: non bisogna arrendersi, spaventarsi o rassegnarsi a una persecuzione, ma ribellarsi, diventando autori della propria storia, è un messaggio, deciso, vincente, che Karen Arthur dà alle spettatrici.